Dopo il successo di Rombo, il romanzo ispirato al violento terremoto che colpì il Friuli nel 1976 (Iperborea, 2023), Esther Kinsky torna a Udine a presentare il suo nuovo libro Di luce e polvere (Iperborea, 2025), tradotto dal tedesco da Silvia Albesano e disponibile in tutte le librerie dal 26 marzo.
Al Cinema Visionario di Udine, lunedì 14 aprile alle 18.30, Kinsky dialoga con la giornalista Anna Piuzzi. Subito dopo l'autrice presenterà sempre in sala un suo film del cuore, Le Meraviglie di Alice Rohrwacher, con Francesco Pitassio dell’Università di Udine. Il film è stato scelto perché particolarmente affine allo spirito del nuovo libro che parla di sale cinematografiche e di cinema.
L’evento è organizzato in collaborazione con Libreria Moderna, Cinema Visionario, Mediateca Mario Quargnolo e Associazione Vicino/lontano. L’interpretariato è curato da Silvia Albesano.
Biglietti disponibili qui.
Esther Kinsky (1956) – Narratrice, poetessa e traduttrice, è una delle voci pi alte e originali della scena letteraria tedesca, più volte candidata al Deutscher Buchpreis e insignita dei più prestigiosi riconoscimenti, come il Premio della Fiera di Lipsia, il Premio Paul Celan e il premio Adelbert von Chamisso. La sua opera, spesso paragonata a quella di W.G. Sebald, si distingue per la maestria narrativa con cui indaga l’esperienza umana dei luoghi, la memoria e il ricordo. Dopo Macchia e Sul fiume (Il Saggiatore, 2019 e 2021), con il romanzo Rombo (Iperborea, 2023) ha ricevuto il Premio Kleist ed è stata candidata al Premio Strega Europeo.
Circa DI LUCE E POLVERE – «Mozi» recita l’insegna di un edificio abbandonato in un paesino dell’Ungheria. Significa «cinema» e cattura lo sguardo della narratrice di questa storia. Straniera in viaggio nella vasta piana ungherese, che appare come una terra incantata di orizzonti infiniti e nostalgia, non resiste all’impulso di comprare il cinema in disuso che è stato un tempo il centro vitale del villaggio. E ricostruendo la storia romantica e leggendaria dell’uomo che lo aprì nel dopoguerra, lo rimette in funzione con l’aiuto di personaggi degni dell’impresa donchisciottesca, come Józsi, l’ex proiezionista ora meccanico di biciclette, e la moglie Ljuba, che di lui si innamorò quando un fulmine interruppe la proiezione del suo film preferito. Così il dimenticato Mozi riprende vita, con un accurato programma d’autore per un pubblico pressoché inesistente, con le foto incorniciate delle stelle del passato e il glorioso diploma vinto a un concorso socialista del 1975, con le pellicole recuperate per i suoi imponenti proiettori novecenteschi e il loro prodigioso fascio di luce. Esther Kinsky intreccia una storia tra realtà e fiaba, ricca di richiami ai grandi maestri del cinema, a un’accorata riflessione su quello che il cinema come luogo fisico è stato per meno di un secolo: una finestra magica che ampliava lo sguardo e accendeva sogni, uno spazio protetto dal mondo che offriva un’esperienza comunitaria condivisa, oggi sostituita dalla privatizzazione delle esperienze. E il suo racconto diventa un atto di resistenza poetica al tramonto del «grande tempio delle immagini in movimento».